Una porta socchiusa
timidamente fra ginestre
e dirimpetto
il tuo languido motivetto,
d’un tempo labile
adagio il maestrale
tornava a ululare
al disopra
di rose recise
in notturne
deprivazioni.
Tenue indeterminatezza
sciolta in un silenzio
raccolto,
potevo sussurrare
di un’impenetrabile
appartenenza
staccata da inventati
possessi tormentanti,
mia luce illibata
che volteggia
d’intelletto
e alchemiche
frammentazioni
d’iride.
Il divenire
formava il consueto
nel peregrinare
trepidante,
all’opposto
conservavo
la fronte
e il brillìo sfolgorante
di vita,
che soggiogava
e trasportava
i segni degli intrecci
in spietati solfeggi,
paralisi di cieli
albini infuocati.
Delizia caduca,
stancamente chinata
annodavo
infrangibili abbagli
in una folla
sordaΒ di tenerezza,
la mancanza riempì
con fine slancio
l’infinito.
Uomo di cui nulla seppi,
ventaglio di vastitΓ
su effimera bellezza
d’enigmi
rossi vivi
e accento mediterraneo.