Tra le rime stropicciate
si sollevava il bagliore
di bluastre e violacee
protuberanze,
colavan pietre
d’avorio
odore plastico
di notti
alla penombra di riluttanti
abomini,
secondi tolti
alla lucida follia.
In vistoso pellame
baldanzoso
il rifiuto permaneva
nelle piΓΉ radicate convinzioni
ottenebrate dal cappio
seducente e proporzionato,
un vecchio stanco
dimenticato mondo
pretendeva
di strisciare
ai piedi degli spiriti
per catturarne
la folgorante alchimia.
Gli osceni arcani
sputacchiavano
rimorsi
d’un tacito vissuto,
sebbene molesti
una realtΓ
contrapposta
soppesava
l’irraggiungibile, terso,
di cui si doveva
aver premura
e dominanza.
Eravamo non-vivi,
i sensi
perverse maschere
e i fili solo una cometa
sulle volute dell’indeterminabilitΓ ,
un cielo stellato
d’incubi mozzafiato,
ecco l’impeccabile
sinusoide frastornante
a solcare
la banale paralizzante fine.
Di che libertΓ morire,
di che morte vivere,
minuti nel confine
tracciato,
il prezzoΒ per non essere liberi,
la differenzaΒ demotivante
tra il gesso e il torrente.