Tempeste incarnate
in semplici meraviglie sottratte
da palpitanti
graffi sull’epidermide,
arcaici distillati
di sottili strati
amorosi.
Contemplandone
la dimensione
radente di una donna,
perduta.
Si offriva la forza vitale,
intima,
impregnata di controluce
nelle sue gradazioni
ampie e nude,
manifeste
di atmosfere divine
preludio
di sollecitazioni selvatiche,
si torna nelle foreste
brulicanti d’infinito
abbandonando
lugubri orizzonti
contaminati.
Di fiducia si morì
una sola volta
consumati
da sorditΓ
e crudele futuro nero,
smorzandone i contorni
amabilmente,
scorci di pesche succulente
in un sontuoso esilio
dall’immobilismo
di una borghesia consenziente.
Spogliai la luna
delle sue spighe,
attraversandone
i silenzi per un sol
impeto
di tumide labbra.