Riuscivamo ad incalzare
le rocce
dei chilometriΒ in affanno,
un freddo torpore esalava l’ultimo
recondito grado
di sopravviventi
dall’argenteo
ritmo di passaggi astronomici,
rami diradati
sulle tempie.
Un territorio di gran levatura
ammiccava al riposo
del giorno,
laghi bianchi
rossi infuocati
gettavano le armi
al sorrisoΒ obliquo
cucito fra lampi
del cielo.
Cicaleccio assordante
di torrenti indisciplinati
e pensieri solinghi,
insopportabile
fondale di occhi
decaduti
su partenze
mai superate.
Correva lento
il flusso scuro
di sovrapposizioni stregate,
mosse da notti
di blandi operati
e ragioni bandite
dai regni
dell’inopportuno.
Indugiando
l’ultima brace,
quasi cenere,
a tal punto nitidamenteΒ arduo
parve lo spauracchio
dell’amor.
In capo al mondo
scivolava bruciando
di frutti ribelli
e costellazioni briose,
sfumature a stento lambite,
il terrore fluttuante
nella sabbia della clessidra,
a rendere inutilizzabile
il putrido bullone nell’ingranaggio
del solstizio estivo.
Il nostro percorso
da soffi di battiti,
respiro segregato
in cuor mio,
impedimenti clandestini
fra sabotatori onerosi.
Vani sforzi,
coscienze riconciliate.
Ahi, mite rassegnazione,
giubilo di zuccheri canditi,
a sedar magnificenze caleidoscopiche.