Serrate le parole
d’ingiustizie alcaline
fra ingranaggi
di meccanica impeccabile
e doratura melliflua,
una fumosa strada
al calar di Venere
per donare sfregamenti
in tanghi di carne,
accese pietanze
colme di fluide
passioni e movenze
di occhi attorcigliati.
Da scosse d’intensitΓ
ritmica tribale
non se ne esca,
un misto di pulsioni
brute oscillazioni
all’unisono,
siamo credenze
opaline racchiuse
in magma
origine di mondo,
corde e grida disperate
costretti in angusti
templi privi di finestre.
Rincorrendo le ore
al gran finale
fra sipari sobbalzanti
ed inchini incerti,
le crepe dello spirito
riconsegnano
frastagliati tagli pulsanti
lacerazioni
di cui la memoria
spazzΓ² i semi
dell’abbondanza.
Un gesto di inopportuno deismo
sopravvalutato,
a non salvaguardare
il rimanente familiare
focolare.
Tra questi mormorii
di sabbia e cenere in disparte
fra onde increspate,
che sia il perdono di indietreggiante
chiarore, pallide
codarderie, il ricordo
si fece ricolmo
di pioggerellina,
mentre incalzava
la voce della luna
e il ritorno vivo
del vento tra faggi
immersi di linfa mistica,
esito,
condensata di antichi sussurri.
Il centro della vita.
Lo splendore del tutto e nulla
s’impossessava
del mio sangue,
vegliando sul cosmo
fuoriuscito d’infinito.
Il suono dell’universo,
melodia di vivide spirali.